Con l’apertura di un nuovo negozio di seconda mano dedicato ai bambini, Croce Rossa Svizzera amplia le possibilità di dare nuova vita agli abiti.
Accanto a questa novità continua a crescere Refashion, il sistema di raccolta che da tempo trasforma una semplice donazione in un gesto solidale ed ecosostenibile, capace di aiutare chi è in difficoltà e di ridurre l’impatto ambientale.
A colloquio con Romana Bassa Coletti, Responsabile del Servizio Abiti, che oltre a coordinare il gruppo di lavoro che a inizio settembre ha inaugurato il nuovo negozio di seconda mano dedicato a bimbi e bimbe in Via Zurigo 3, ha ideato il sistema di raccolta Refashion. Una formula di raccolta, nata proprio in Ticino con box di piccole dimensioni, che possono essere temporaneamente collocati in un’area di un'azienda, condominio, palestra o scuola.
Quando e come è nata l’idea di introdurre il sistema di raccolta Refashion?
L’idea è nata nel 2012, in un momento di cambiamento importante: molti Comuni del Ticino stavano togliendo i cassonetti stradali per gli abiti usati, spostandoli negli ecocentri. Una scelta comprensibile, ma che rischiava di rendere più scomoda la donazione, scoraggiando le persone e riducendo così sia l’impatto positivo sul piano ambientale sia le opportunità di aiuto per chi vive una situazione di difficoltà.
Da qui è maturata la convinzione che servisse un sistema diverso: più vicino, pratico e anche esteticamente curato. È così che è nato il Refashion Box, un contenitore compatto e discreto, facilmente collocabile in scuole, aziende, palestre o condomini. Nel gennaio 2013, Croce Rossa Svizzera Sezione Sottoceneri ha avviato ufficialmente il progetto, che nel tempo si è consolidato fino a diventare un vero strumento di solidarietà circolare.
Come è stato accolto Refashion e quali sono i suoi punti di forza?
Fin dall’inizio, Refashion è stato accolto con entusiasmo. Abbiamo ricevuto richieste da interlocutori molto diversi tra loro: dalle grandi aziende ai piccoli condomini, dalle scuole agli enti culturali. Una dimostrazione decisamente chiara di quanto fosse sentita l’esigenza di avere un’alternativa semplice e accessibile per donare. I punti di forza principali, a mio avviso, sono sostanzialmente tre. La prossimità, perché portiamo la possibilità di donare nei luoghi in cui le persone vivono, studiano o lavorano. La semplicità, perché chi ospita il box non deve preoccuparsi di nulla: ci occupiamo noi a costo zero di ritiro, selezione e gestione. La trasparenza, perché i cittadini sanno dove vanno i loro abiti e possono vedere il valore concreto che generano, trasformandosi in un aiuto per famiglie del territorio.
C’è poi un aspetto educativo: molte scuole utilizzano Refashion come occasione per parlare di riuso, moda etica e sostenibilità. In questo modo, il progetto diventa anche un veicolo culturale, soprattutto per i più giovani. Inoltre, rispetto ai vecchi cassonetti su strada, il Refashion Box stimola una raccolta più responsabile e di qualità, con meno scarti e più attenzione da parte dei donatori.
Che impatto avete osservato – sia dal punto di vista ambientale che sociale – da quando il progetto è partito?
L’impatto è stato duplice. Sul piano ambientale, Refashion ha contribuito a ridurre lo spreco tessile e a valorizzare il riuso come scelta quotidiana. Sul piano sociale, ha creato un circolo virtuoso: gli abiti raccolti in buono stato vengono selezionati e messi in vendita nei nostri negozi solidali, e il ricavato – tolte le spese fisse – viene reinvestito in progetti locali di sostegno alla popolazione.
Solo nel primo semestre del 2025, grazie a 40 Refashion Box attivi sul territorio ticinese, abbiamo raccolto circa 10’000 kg di abiti e accessori. Numeri importanti, ma ancora più importante è la consapevolezza che dietro a ogni capo donato c’è un gesto che fa bene a chi dona, a chi riceve e al pianeta.